Due settori industriali a confronto: l’automotive e il bianco
di Gabriele Caragnano – Dalle scelte del management, all’organizzazione degli stabilimenti fino al modo di lavorare interno alla fabbrica: le differenze tra due settori dell’industria italiana raccontano lo scenario del nostro Paese e indicano una direzione molto chiara.
I due mondi, bianco e auto, hanno un comune denominatore: per entrambi è fondamentale, o meglio dovrebbe esserlo, tendere e approcciare a forme di lavoro nuove e moderne. È necessario, infatti, che la realtà aziendale si assicuri prima di tutto che il sistema organizzativo funzioni secondo determinate regole che garantiscano il massimo livello di efficienza possibile nel rispetto di standard in materia di ore lavorate, pause, ritmi, ecc., ma senza tralasciare aspetti ugualmente importanti come il concetto di qualità del lavoro e di team affinché il clima aziendale sia positivo e aperto.
Indubbiamente le scelte manageriali, lo stile adottato e la volontà di sviluppare un nuovo modo di lavorare sono la base per aumentare la produttività industriale. In altre parole, ciò che rende un settore poco dinamico, come oggi quello del bianco, è certamente il parziale utilizzo delle risorse umane. Al contrario, un settore come quello dell’automotive italiano ha saputo rinnovarsi negli anni, grazie a manager di larghe vedute che hanno compreso il significato delle nuove sfide a cui il mercato e la crisi economica li ha sottoposti.
Il settore dell’automotive oggi ha radicalmente cambiando il concetto di fabbrica, ne è un bellissimo esempio il video girato nello stabilimento FIAT di Melfi sulle note della canzone Happy di Pharrell Williams, dove si vede un modello di fabbrica moderno (operai con tute bianche, ambienti pulitissimi, moderni e molto luminosi). Se negli anni 60 visitando uno stabilimento si potevano osservare stuoli di operai in tuta blu che avvitavano bulloni in ambienti tristi e silenziosi, ora non è più così. Oggi le fabbriche di automobili sembrano atelier di alta moda, il lavoro è organizzato in piccoli gruppi di persone con un team leader che si occupa del miglioramento continuo, gli ambienti sono colorati e gradevoli, le mansioni diversificate.
Nel settore del bianco questa evoluzione non è ancora avvenuta. E’ voluta, ma troppo spesso è rimasta solo sulla carta. Si è parlato molto di ripensare in termini più moderni l’utilizzo delle risorse e l’organizzazione del lavoro, ma il risultato è che oggi un’azienda del bianco è molto simile a quella di trent’anni fa. I modelli organizzativi evoluti in stile Toyota (production system) sono noti e diffusi tra i manager del bianco; mancano i meccanismi attuativi che fanno scendere i concetti fino al posto di lavoro, arrivando a modificare comportamenti e condizioni di lavoro dell’operaio.
E allora, per risalire la china perché non chiedere ai manager del settore auto di salvare e riorganizzare il settore del bianco? Nel settore auto, come ad esempio in FIAT, ogni qual volta si avvia la produzione un nuovo modello, avviene un ammodernamento totale degli stabilimenti per aggiornare ogni sistema operativo, dagli aspetti hardware degli impianti e attrezzature a quelli software dei sistemi informativi e delle risorse umane. Indubbiamente questo richiede cospicui investimenti, come per Pomigliano con la produzione della nuova Panda, ma è sotto gli occhi di tutti che le scelte fatte da FIAT abbiano dato e continuino da dare i loro frutti.
Purtroppo non è così nelle aziende del bianco. Quando un nuovo elettrodomestico entra in produzione, nonostante anche in questo caso siano stanziati ingenti investimenti, le linee di montaggio e l’organizzazione del lavoro continuano a perpetrare modelli organizzativi obsoleti. Non si considerano le risorse umane come un fattore chiave della competitività. I lavoratori rappresentano solo un costo che deve essere minimizzato, piuttosto che una fonte di vantaggio competitivo difficilmente replicabile.