Home News Partecipazione e fatica calcolata on line: così si lavora nella fabbrica laboratorio

di Diodato Pirone

Diodato Pirone

Diodato Pirone

Devi entrarci dentro per capire cos’è il fortino Pomigliano. La grande fabbrica sotto il Vesuvio è un tuffo in un Truman Show: pezzi di Giappone e di Germania mischiati al profumo delle macchinette distributrici di caffé. Ti accoglie un cartellone elettronico e la scritta «zero infortuni». Poi il plant ti inghiotte in un capannone luminosissimo, sotto il quale fatica la gran parte dei duemila operai le cui mani fanno nascere le Panda made in Italy. Una ogni 70 secondi.

Cos’è Pomigliano? La frontiera dove il lavoro italiano dimostra di non essere secondo a nessuno o un lager modellato sullo sfruttamento moderno? La prima risposta arriva da Marisa Giannini, una bella trentenne infilata nella identica tuta lasca e immacolata degli operai, perché a Pomigliano quadri e impiegati, a partire dal direttore Sebastiano Garofalo, sono vestiti allo stesso modo e lavorano fianco a fianco agli operai, separati da un semplice cristallo. Giannini fa la shift manager (direttore di turno): insomma lei comanda il ballo di mille operai. E’ un ingegnere meccanico laureato a Napoli, un prodotto doc del territorio.

«Sai qual è la verità – dice Giannini camminando lungo le 385 stazioni di montaggio – Siamo in prima pagina per il sindacato. Invece quello che conta è che qui c’è una nuova mentalità operaia». Cioè? «Da sempre gli operai – prosegue Giannini – pensano che capi e capetti non capiscono un cavolo e che sono loro a portare avanti la produzione». E allora? «Allora, qui questa convinzione vacilla. Forse per la prima volta in Fiat c’è uno scambio produttivo fra il sapere informale degli operai, che è prezioso, e gli obiettivi dell’azienda. Un po’ come in Giappone. Qui è nata una nuova organizzazione del lavoro Fiat. Qui, nel Sud, in quello stabilimento che ci ha fatto piangere tante volte, stiamo realizzando l’auto italiana a zero difetti». Le prove? Giannini riferisce di analisi interne molto dettagliate.

Che sia propaganda o meno un fatto è certo: lungo il montaggio si ascoltano dialetto napoletano e termini giapponesi. Kaizen (cambiamento continuo) e poka joke (un sistemino che azzera piccoli errori di montaggio) sono le parole più frequenti.

Merito della tecnologia, certo: ci sono 630 robot che al buio (per risparmiare la luce) saldano le scocche al millimetro. Ma in realtà il «segreto» di Pomigliano sembra essere l’organizzazione della fatica umana, quella per la quale il 7 novembre Pomigliano sarà premiata come migliore fabbrica europea dalla rivista ingegneristica tedesca AutoProduktion.

Ecco qualche esempio. Mario, meno di 30 anni, del montaggio è uno dei 170 operai assunti – per paradosso – per non lavorare. Fa il capo-squadra (team leader) e come ogni sei/otto operai (finora in Fiat i capi-squadra erano uno su 20/25 operai) non monta i pezzi ma coordina il lavoro dei suoi colleghi. «Ora è tutto molto più organizzato di prima», assicura. Il suo potere è da piccolo manager: dà permessi ai «suoi» operai e li propone per i premi. Formula proposte di miglioramento (8.000, finora) e ferma la linea se trova un componente imperfetto. In questo caso scatta un allarme che prevede il controllo del pezzo per le le 7 mila auto succesive e l’immediata riduzione del voto di qualità al fornitore.

L’altra grossa novità del processo produttivo pomiglianese è un metodo di lavoro dal nome indigesto: Ergo-Uas (ergonomia unita a Universal analysing system), che significa pianificazione maniacale del montaggio. «Fiat oggi sa che per montare i 5 mila pezzi della Panda servono 54 mila movimenti degli operai», spiega il progettista della linea, l’ingegner Gabriele Caragnano. Ogni movimento – anche il montaggio di una vite – è misurato al computer per stabilirne il tempo ottimale di durata, la fatica richiesta e il riposo compensativo in secondi. «Con l’obiettivo non di lavorare più velocemente – assicura Caragnano – ma di sincronizzare al meglio il lavoro evitando che alcuni operai sudino e altri perdano tempo».

«Ma lo sforzo più grande – aggiunge Garofalo, il direttore siciliano («Figlio di un bidello», lo scriva) – lo abbiamo fatto sul coinvolgimento degli operai. Ogni squadra deve presentare 30 proposte di miglioramento l’anno. Una ci ha fatto risparmiare 65 mila euro». E’ sera quando si esce dalla fabbrica-laboratorio. Si intravede il profilo del Vesuvio, il vulcano tutt’altro che spento.

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