Home Blog ERGO-UAS – Presa Diretta – Puntata del 20 settembre

Pubblichiamo lo scambio di lettere tra l’Ing. Caragnano, Direttore della Fondazione Ergo e il giornalista Riccardo Iacona, presentatore di Presa Diretta relativamente ad un tema a noi caro: il dibattito intorno all’ERGO-UAS.

Gentile dottor Iacona,
Sono uno dei “papa’ (almeno quello italiano) del sistema Ergo-Uas da Lei citato e descritto nella puntata di Presa Diretta del 20 settembre. Intorno a questo sistema è nata la Fondazione Ergo di cui sono il direttore. Le scrivo solo ora perché ero all’estero per lavoro.
Mi permetto queste osservazioni con spirito costruttivo perché penso che Lei sia un giornalista bravo, interessato al cuore delle storie che racconta, al loro valore aggiunto fruibile da tutti gli ascoltatori e non solo culturalmente sensibile ad alcuni legittimi interessi. Che restano interessi parziali per quanto nobili essi possano essere poiché sindacali.
Le invio questo contributo anche perché penso che l’Italia possa uscire dalla crisi solo attraverso un miglioramento delle condizioni di lavoro anche, anzi, soprattutto, nelle moltissime fabbriche di quello che resta il secondo paese manifatturiero d’Europa. Un obiettivo, quello del buon lavoro, che anche il servizio pubblico dovrebbe raccontare e perseguire con costanza per il bene comune degli italiani.
Vengo al dunque. Lei definisce Ergo-Uas come un sistema che fa lavorare più comodamente gli operai ma che ne aumenta la saturazione, ovvero il carico di lavoro.
Non mi riconosco in questa sintesi. Messa così – e non è difficile riconoscere l’origine cultural-sindacale di questa definizione – al telespettatore arriva un messaggio devastante: hanno inventato l’ennesima diavoleria per torturare i poveracci che ancora si ostinano a lavorare in fabbrica.
Ma allora come mai l’Ergo-Uas viene utilizzato da circa 630.000 lavoratori in tutto il mondo (circa 100.000 in Italia) e in particolare nella Germania del grande sindacato da imprese grandi e piccole a partire da Volkswagen o Bosch? E come mai lo stesso sistema in Italia viene adottato dalla Fiat e guarda caso anche dalla Lamborghini, entrambe citate nella puntata, l’una a mo’ di diavolo e l’altra di acqua santa?
E allora Le chiedo un supplemento di riflessione.
Il punto è il seguente: parlando di LAVORO, il telespettatore del servizio pubblico ha diritto o no di avere informazioni e chiavi di lettura che non siano SOLO quelle – legittime ma fatalmente limitate – dei volantini sindacali? Non perché il sindacato sia brutto, sporco e cattivo. Anzi. Ma per il semplice fatto che esso rappresenta UNA PARTE della catena lavorativa. Anzi ogni sindacato rappresenta una frazione dell’universo dei dipendenti.
Ma la realtà del LAVORO è molto più complessa e più ricca e giornalisticamente più interessante di quella offerta dalla legittima propaganda sindacale.
Scavando un pochino, la Sua redazione avrebbe sicuramente scoperto che – anche sulla base dell’Ergo-Uas – Melfi è il primo grande stabilimento italiano le cui LINEE PRODUTTIVE SONO STATE PROGETTATE ASSIEME DA OPERAI E INGEGNERI riuniti per mesi assieme in un capannone ad hoc chiamato Work Place Integration (pilotino in gergo).
Perché? Non certo perché la Fiat si sia trasformata in una associazione caritatevole. Questo accade perché quell’azienda – nell’ambito del proprio piano industriale reso pubblico ad azionisti e sindacato – oggi produce IN ITALIA – ripeto IN ITALIA – automobili più ricche e più complesse delle classiche utilitarie.
Quindi l’azienda ha BISOGNO di MIGLIORARE le condizioni di lavoro. Non si possono produrre auto premium (e per tutto il mondo e non più solo per l’Europa) trattando male gli operai e senza la loro partecipazione attiva al processo di produzione. È semplicemente illogico.
In questo quadro Ergo-Uas garantisce a impresa e operai dati comuni e molto precisi. Su questi dati – un linguaggio comune non un semplice cronometraggio dei movimenti – si discute e si tratta per trovare il modo migliore di lavorare sprigionando più produttività SENZA FATICA.
Si, gentile dottor Iacona, si può fare. Meccanismi win win fra padroni e operai sono possibili. Nelle fabbriche moderne la FATICA è DIMINUITA. Ci sono mille altri problemi (le consiglierei di leggere l’inchiesta operaia con ben 5.000 questionari fatta da Fim-Cisl e Politecnico di Milano) ma non quello della fatica. Le sembra poco? E allora aggiungo che l’aumento della produttività (che è dato non solo dalla saturazione ma da mille altri fattori) consente di trasferire ai dipendenti una parte dei maggiori utili conseguiti. E ancora: nel momento in cui azienda e operai accettano di lavorare assieme al miglioramento delle condizioni di lavoro è evidente che si creano le condizioni per una progettazione dei prodotti e dei macchinari che inglobi E VALORIZZI il “sapere operaio” con l’obiettivo di evitare fin dalla fase della pianificazione di lavorare male e/o troppo o troppo poco.
Perché non Le sfuggirà, Lei che è sensibile al tema della giustizia, che la catena di montaggio ben progettata e CULTURALMENTE CONDIVISA (questo è Ergo-Uas) è garanzia di equità fra gli operai. Nelle fabbriche dove a postazioni faticose si affiancano altre postazioni “leggere” si lavora male, si scatenano guerre fra poveri, esplodono le raccomandazioni e il sindacato (e l’azienda) ne viene stravolto.
Aggiungo un altro elemento: la fabbrica – come tutte le cose umane, televisione compresa – è soggetta a continue evoluzioni. Non è più quel luogo di sporcizia e dolore che era un secolo fa. L’autodenigrazione del proprio lavoro che ha fatto l’operaia intervistata nella sua trasmissione (e non solo lei) è un autogol culturale tipicamente italiano che spiace veder ingigantito da importanti trasmissioni come la Sua. Perché un’azienda dovrebbe pagare bene un’operaia che fa cose così banali?
Invece, oggi l’operaio è un tecnico che sempre più spesso fa lavori complessi (a Melfi ogni postazione dispone di un computer sul cui schermo gli operai devono firmare alcune mansioni) e lavora in base a mansioni a rotazione interne ad una squadra. In fabbrica si fa squadra. Gli operai sono inglobati in piccoli gruppi di 6/7 persone che hanno obiettivi monitorati di partecipazione alla vita professionale e sociale della fabbrica. L’operaio non è più un numero anche nelle grandi fabbriche.
La puntata ha dedicato pochi secondi a un dettaglio: gli stipendi a Melfi oscillano fra i 1.600 e 1.900 euro netti al mese. Mi dica: nel Sud, in Basilicata, ma anche a Roma, dove è possibile raggiungere stipendi di questo livello alla prima assunzione? E allora è meglio fare l’operaio a Melfi o il barista in nero o il muratore o il bracciante o l’impiegato al catasto che spesso è la figura professionale più alienata? Non trova che l’informazione sulla turnistica del modello Melfi sia monca senza un accenno al nuovo contratto dei dipendenti Fiat (che viaggiano sui 20/25.000 euro all’anno) che avranno fino a 10.000 euro in più in 4 anni con aumenti annui fra l’8 e il 12%? Sono i primi frutti del maggior valore aggiunto prodotto con auto come la Jeep Renegade o le Maserati. Frutti di quel salto di qualità complessivo che il mondo Fiat – nel tentativo di uscire dalla mediocrità in cui era caduto – sta lentamente facendo. Ma questo tentativo non è chiuso dentro un’azienda e ha ricadute positive sulle persone e sul territorio.
Dottor Iacona, non è l’articolo 18 o il jobs act a garantire l’occupazione. È il buon prodotto, la buona strategia aziendale, la buona qualità del lavoro che salvano l’occupazione, garantiscono uno stipendio dignitoso e permettono agli ingegneri delle università del Sud di restare nel Sud.
Infine Il grande spazio che Lei ha dedicato ai turni – tema che per la verità nulla ha a che fare con il jobs act – mi ha sorpreso. Ovunque nel mondo (e ci sono molti casi italiani di aumento della turnazione condiviso con tanto di firma da Fiom) l’aumento dei turni è un sintomo di buona salute di un’azienda e dunque dei suoi dipendenti. I 20 turni a Melfi hanno consentito la nascita di una quarta squadra e l’assunzione di 2.000 ventenni quando fino a pochi mesi fa alcuni sindacati (non solo la Fiom) sostenevano che lì ci sarebbero stati migliaia di esuberi nonostante l’arrivo della Jeep.
Lei ha dato credito (molto credito) a coloro che sostenevano questa tesi anche se la realtà li ha smentiti. Lei darebbe credito a un Suo collega che sbaglia articoli importanti sulla materia in cui è specializzato? E poi: i turni creano disagi? Non c’è dubbio. Ma lo chieda anche alle commesse del Suo supermercato. Scoprirà che a Melfi si lavora una domenica ogni 8 mentre nei supermercati romani si fanno minimo due domeniche AL MESE.
Sono stato colpito dallo stile e dall’alto valore aggiunto di alcune Sue trasmissioni, come quella dell’anno scorso dedicata al sistema del trasporto pubblico francese. Sono sicuro che Lei tornerà a raccontare l’evoluzione della fabbrica italiana componendo le legittime tesi sindacali con gli altri segmenti di questo mondo che gli donano fascino e lo rendono tutt’oggi lo STRUMENTO MIGLIORE col quale produrre e DISTRIBUIRE RICCHEZZA specialmente nel Mezzogiorno. Se il servizio pubblico è informazione al tempo complessa e il più possibile vicina al vero, quello che succede in profondità nel mondo del lavoro meriterebbe la qualità del Suo racconto.

Gabriele Caragnano
Direttore Generale Fondazione Ergo
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Gentile dott. Caragnano,
grazie di averci scritto e delle riflessioni che ci ha voluto proporre anche relative al processo partecipativo che a Melfi ha portato all’adozione del sistema Ergo-Uas.

Ci tengo a dirle, e penso che dalla puntata sia emerso, che noi non abbiamo parlato negativamente del sistema Ergo-Uas in quanto tale. Sappiamo che è molto utilizzato e sempre più diffuso nelle principali aziende automobilistiche. Abbiamo detto infatti che aumenta la produttività dell’operaio perché migliora l’ergonomia delle postazioni di lavoro, così il lavoro in catena di montaggio non si fa più curvandosi o sostenendo carichi pesanti in posizioni potenzialmente dannose per la salute. Il problema che abbiamo voluto evidenziare parlando di Melfi, quindi, non è l’Ergo-Uas in quanto tale. Piuttosto ci siamo concentrati su una combinazione di fattori relativi all’organizzazione generale del lavoro che sta avvenendo in questi mesi nello stabilimento lucano e che ritenevamo fosse giusto portare all’attenzione pubblica.

Se da un lato infatti, il lavoro in fabbrica è fatto con postazioni ergonomiche e questo ha portato a un aumento della produttività degli operai, è anche vero che la saturazione delle linee di montaggio in quello stabilimento è aumentata raggiungendo quasi il 100% e questo non accade in tutte le fabbriche.

Ma la combinazione di fattori ai quali ci riferiamo parlando di Melfi è ancora un’altra: oltre al nuovo sistema Ergo-Uas infatti, sono state ridotte ad esempio le pause per gli operai da 40 a 30 minuti in totale, la mensa anziché a metà turno è stata spostata a fine turno e queste sono cose che fanno la differenza per chi lavora in catena di montaggio. Ma abbiamo raccontato anche che Melfi è il primo esempio in Italia e in Europa di produzione di auto a ciclo continuo perché per la prima volta un’azienda automobilistica lavora con 20 turni a settimana, svolti da 4 squadre di operai. Questo ha portato, per i primi 6 mesi, anche a 10 giorni consecutivi di turni in fabbrica con 6 mattine e 4 notti di fila. E’ questa la combinazione di fattori che a più di qualche operaio ha fatto sentire il “peso” del nuovo lavoro in fabbrica e che noi abbiamo raccontato.

Noi non critichiamo il lavoro, le opportunità di lavoro per i giovani e tanto meno i necessari adeguamenti tecnologici migliorativi. Abbiamo fatto parlare proprio i giovani nel reportage, contenti dell’opportunità di lavoro e dello stipendio con il quale aiutano anche la famiglia, uno stipendio alto poiché frutto delle maggiorazioni relative agli straordinari, ai turni festivi e le notti. Poi abbiamo anche rappresentato attraverso la voce degli operai, le loro storie e le loro vite, l’unicità della situazione lavorativa a Melfi oggi.

Ci tengo anche a dirle che non siamo espressione di alcun pensiero sindacale in particolare e infatti non è stata citata alcuna ricerca relativa al sistema Ergo-Uas, né di un sindacato nè di un altro. Noi cerchiamo di ragionare con la nostra testa e sopratutto di raccontare a 360 gradi gli ambienti che attraversiamo. Per quanto riguarda, infine, la discussione sull’abolizione dell’articolo 18 e sul ruolo che ha avuto la riforma del lavoro detta del jobs act nell’aumento dell’occupazione nel nostro Paese, abbiamo dato voce a tutti. Sia a quelli che ne sostengono l’utilita’, sia a quelli che si domandano se non sia soprattutto la decontribuzione ad aver fatto innalzare i numeri dei nuovi occupati e che si pongono la domanda se e quanto il Governo potra’ rinnovare la decontribuzione anche negli anni futuri. Proprio di recente Matteo Renzi ha parlato di effetto “metadone”, annunciando che il prossimo anno la decontribuzione verra’ dimezzata . Che cosa succedera’ ? Lo capiremo nel prossimo anno.

Ma la voglio veramente ringraziare ancora delle riflessioni e anche delle critiche che ci pone, come sempre molto piu’ utili dei complimenti, e dirle che cogliero’ i suoi suggerimenti negli eventuali successivi approfondimenti sull’organizzazione del lavoro .

Un cordiale saluto e rimaniamo in contatto
Riccardo Iacona

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